Abbiniamo, di solito, i prestiti alla maturazione di interessi. Anche in presenza di tasso 0, è sottinteso il richiamo all’interesse che sempre è elemento naturale, nonché tipico, del finanziamento. In base all’art.1815 del Codice Civile, viene tutelata la libertà delle parti contraenti a derogare dalla struttura tipica del contratto di finanziamento. I prestiti infruttiferi o anche, in termini più larghi, i “finanziamenti atipici” debbono, pertanto, rientrare in una nostra cognizione reale e pratica dei diritti.
La richiesta di un finanziamento è in ogni caso un contratto, non necessariamente standardizzato, dettaglio spesso dimenticato dalla parte debole della contrattazione. Diventa, quindi, un’offerta promozionale proporre i prestiti personali italiani su misura che invece dovrebbero essere un diritto, già a priori e coeteris paribus la volontà dei contraenti. Si capisce anche il motivo per cui si pone attenzione alla trasparenza, volendo salvaguardare la pari-forza dei contraenti.
Oggetto di contestazione, uscendo dall’attinente contesto dei prestiti al consumo, è stato un prestito infruttuoso concesso da una società ad una propria partecipata. Il fisco riteneva che quel “salvo diversa volontà delle parti, il mutuatario deve corrispondere gli interessi al mutuante” potesse essere dimostrato solo tramite contratto scritto. Ma si è ribadito: “fatta eccezione per alcuni contratti tipizzati ed indicati nella norma stessa, tutti gli altri, purché non siano contrari a norme imperative, all’ordine pubblico ed al buon costume, possono assumere la forma che le parti dovessero ritenere più opportuna, nel libero esercizio dell’attività d’impresa, costituzionalmente protetto, anche semplicemente in forma solo verbale”.
E’ acclarato che la forma scritta tutela maggiormente la parte debole del contraente. Ma resta ferma la diversa volontà. Ecco spiegata la piena legittimità dei “finanziamenti atipici” e di mercati alternativi a sostegno della liquidità.