Viviamo in simbiosi con computer e telefonino, interagendo con dati e informazioni di tutti i tipi. Ma ci sono altre connessioni invisibili che ci legano alla Rete. Non sono dati pubblici o googlabili , ma risiedono tra quelle centinaia di data center delocalizzati per tutto il pianeta. Informazioni sensibili, trasferite e archiviate quando abbiamo firmato il contratto per avere la carta di credito e il bancomat, luce/acqua/gas, il divano in leasing, la moto a rate, l’abbonamento a Sky o una delle innumerevoli carte fedeltà che popolano i nostri borsellini (o che si perdono negli anfratti degli sportellini dell’auto). Migliaia di migliaia di dati da gestire (siamo arrivati a 2,5 quintilioni di bytes). Sono i Big Data.
Tutte le informazioni sono utili al business (anche quando non lo sembrano)
Per identificarli, potremmo scriverne all’infinito. Anche perché infinite stanno diventando le fonti dei Big Data. Vengono dalla digitalizzazione di molte attività una volta cartacee (ordini, bollettazioni, fatture, ad esempio, ma anche cartelle cliniche o i carteggi notarili). Vengono dai sensori che stanno mappando ogni angolo della terra per automatizzare il controllo di anomalie sismiche, oceaniche o metereologiche, ma anche per contabilizzare i consumi (smart grid) o presidiare emissioni nocive, umidità, radiazioni e via dicendo.Vengono dai sistemi di pagamento. Vengono dai siti di e-commerce. Insomma, ci sono sempre più mezzi, strumenti, logiche che si intersecano e che quindi impattano sui sistemi IT e sulla cultura aziendale. Vivere passivamente il mondo digitale è quasi impossibile. E non avere una strategia di misurazione a riguardo è un punto di debolezza per il business.
I Big Data impongono una digital strategy (per questioni di management)
Su chi ricade la gestione dei Big Data? Sui responsabili dei sistemi informativi, che devono lavorare di integrazione, amministrando il flusso delle informazioni che vengono dai pc, ma anche dalle telecamere, dai tablet e dagli smartphone, dall’Unified communication, dalle tecnologie Rfid in tutte le sue declinazioni (Nfc, Rtls, Gps tag e microchip) o da tutti i tipi di codici a barre che servono a tracciare beni e servizi. I dati corrono sulla Rete e vengono dalla Rete: dai siti Web in generale, e dai social network in particolare, attraverso sistemi sempre più sofisticati che riescono a parametrare la nostra vita in base al numero dei click e dei Like. Una mole di (nuove) informazioni di cui il marketing ha strettamente bisogno e che non è (ancora) nelle corde dei Cio. Ma per la business agility maneggiare il Crm in tutte le sue dimensioni, sociali e tecnologiche, sarà presto un must. Si chiama digital strategy: il marketing la invoca e l’Ict si deve adeguare in fretta.
Il salto quantico della business intelligence sono le analytics (così il Roi è servito)
Ancora non ci credete? In media ogni giorno vengono scrutinate 500 milioni di registrazioni telefoniche che in tempo reale predicono i cambiamenti di gusto dei clienti. Ogni giorno qualcosa come 12 terabyte di Tweet vengono scandagliati per analizzare i sentimenti delle persone, in modo da qualificare meglio la direzione dell’offerta e oltre 100 video provenienti dalle telecamere di videosorveglianza vengono supervisionati per capire bene quali sono i punti di interesse dei passanti.
Secondo gli analisti negli ultimi due anni siamo riusciti a produrre il 90% delle informazioni che oggi circolano in Rete. Stiamo parlando di 2,5 quintilioni di bytes. Chiamarli Big Data è più facile. Le statistiche dicono che ogni 14 mesi i dati (italiani) raddoppiano.Decollano all’ennesima potenza attraverso tool e software capaci di effettuare analisi e simulazioni, ipotizzando scenari e previsioni a corto, medio e lungo termine. Insomma i Big Data crescono. E cresceranno ancora.
Eppure, a fronte dei dati (anzi dei Big Data) un’impresa su tre ancora oggi non si fida delle informazioni che ha disposizione per prendere decisioni. Com’è possibile essere proattivi nell’era dell’informazione, senza crederci? La sfida per le aziende, è invece di fare un salto quantico e lavorare di Business Intelligence, applicando un’intelligenza focalizzata sul modo di gestire e capire le informazioni, attraverso strumenti di Business Analytics.
“In Italia stiamo registrando una crescita doppia dei Big Data – ha premesso Fabio Rizzotto, IT Research Director di IDC Italia -. Non a caso, il mercato del software per la business analytics cresce molto più della media complessiva del software. Le stime per quest’anno fotografano una crescita del comparto pari a un 4,2%, contro un calo del -0,9% del mercato del software in generale e per il 2013 le proiezioni italiane confermano un’ulteriore crescita, nell’ordine del 4,6%, contro lo 0,3% del mercato complessivo del software. In tempo di crisi, le analisi diventano tattiche e strategiche perché aiutano a predendere decisioni in un momento di grande incertezza”.
Così fan tutti (o almeno dovrebbero)
A livello mondiale la situazione è analoga: le aziende hanno speso in software per business analytics ben 31 miliardi di dollari nel 2011 (+14,1% rispetto all’anno precedente). Tutte affamate di informazione.
“La digitalizzazione ha portato uno spostamento degli asset aziendali sull’informazione virtuale – ha affermato Dan Vesset, Program Vice President Business Analytics di IDC –. Cambiano le modalità di interfaccia con i dati per diversi fattori concomitanti: multicanalità, mobile e wireless, in primis, che stanno contribuendo a spostare ancora di più il flusso dei dati sul digitale. Basti pensare ai social network o a tutte le derive dell’Rfid che concorrono ad accelerare l’avvento della Internet of Things e delle smart city. La sfida per i top manager oggi sono i Big Data, ma c’è ancora molta confusione (a livello globale) sia sui modi che sui tempi. Le analitiche sono insufficienti e al personale It mancano gli skill appropriati”.
L’obiettivo delle aziende, di qualsiasi dimensione esse siano, deve essere la business agility (ecco il declamato Roi) il che significa puntare alle zero wait analysis. Come ha detto un saggio Cio: “non è un problema di byte ma di neuroni”. Volumi (cioé Big Data), velocità, varietà e variabilità saranno le 4 V su cui costruire le basi del futuro sviluppo. Azzerando i tempi di ingresso e di elaborazione dei dati, per aumentare proattività e produttività. Come? Usando le informazioni (tutte). Usando i Big Data.