Se venticinque anni fa ci avessero raccontato che con la macchina da scrivere avremmo letto il giornale o che con il telefono avremmo fatto la spesa non ci avrebbero creduto in molti. Eppure i segnali c’erano tutti: miniaturizzazione degli elaboratori che si accomodavano sulle scrivania delle nostre case e dei nostri uffici sotto forma di personal computer (in modalità stand alone). Telefoni portatili con gigantesche batterie contenute in apposite valigette da portarsi sempre appresso o cordless collegati alla rete fissa, ma equipaggiati di comode rubriche interne. Era il tempo in cui iniziavano a circolare migliaia di dischetti (floppy disk) su cui memorizzavamo immagini e informazioni da portare in giro o inviare tramite un pony express (chi se li ricorda?) da una parte all’altra della città come colombi viaggiatori. Noi non lo sapevamo, ma già allora c’erano fior di tecnici che lavoravano per noi. Per costruire il nostro “oggi tecnologico” fatto di servizi e di nuove modalità di interazione e di accesso, mixando la realtà con la digital experience. Il tutto con molta intelligenza (quella vera).
Le frontiere dell’innovazione, anzi dell’interazione.
Quei tecnici e quei visionari a che cosa stanno lavorando oggi? Ai format e agli standard dell’innovazione prossima futura. Con le loro capacità visionarie, i loro algoritmi, i loro protocolli, le loro intuizioni filtrate da un’analisi rigorosa che permette loro di cablare le idee all’interno di progetti che a guardarli ora hanno dell’incredibile. È questo è lo spirito di Frontiers of Interaction, 7 e l’8 giugno si terrà a Roma (presso i Cinecittà Studios), una delle principali conferenze internazionali sui temi della tecnologia e dell’innovazione. Concepito con un format alternativo in cui l’Ict diventa un evento interattivo e coinvolgente. Tra suoni, musica, installazioni e tavole rotonde, la manifestazione celebra i designer della ricerca e dello sviluppo che, con il loro lavoro, sperimentano soluzioni fabbricando le nuove formule della user experience. L’iniziativa, ideata nel 2005 e prodotta da Leandro Agrò & Matteo Penzo, si focalizza sui nuovi temi del design e dell’interazione per esplorare idee ed argomenti nel campo dell’Interaction Design. Rfid Italia ha rivolto qualche domanda a Leadro Agrò in merito a questa ottava edizione.
Nel 2005 la parola innovazione (soprattutto quella tecnologica) affascinava, ma a molte aziende faceva paura. Oggi cosa è cambiato?
Per questa edizione di Frontiers abbiamo intervistato Kevin Kelly, infinita fonte di ispirazione. Nella versione integrale di questa intervista, KK dice che : “mentre -anni fa- chiunque si fosse visto offrire un biglietto per il futuro lo avrebbe accettato volentieri, oggi, una significativa parte di questi rinuncerebbe al salto nel futuro. Questo vale per le persone, la cui visione deve fare i conti con le incertezze della economia globale, come per le aziende. Queste ultime sanno che devono innovare o rischiano di estinguersi, ma al contempo sono spesso soverchiate dalla velocità della evoluzione delle tecnologie e, soprattutto, dall’ibridarsi delle conoscenze. Ecco, se dovessi dire cosa più mette in difficoltà l’innovazione in azienda, io direi che è la impossibilità di generare innovazione in contesti che, per troppo tempo, hanno selezionato menti e pattern di conoscenza troppo simili. Non so se è la tecnologia a far paura, di certo questa però ci richiede una serie continua di adattamenti culturali e sociali. E questo, ad una velocità a cui nessuna generazione precedente è stata mai soggetta”.
L’interaction design è una dimensione in cui tecnologia e creatività hanno lo stesso peso?
Nella mia personale visione, l’Interaction Designer è l’Architetto delle relazioni. Come un architetto vero si occupa di spazi, materiali, percorsi… Ma l’architettura non è solo fisica: è anche digitale e si sofferma sulla relazione tra esseri umani e prodotti, servizi, sistemi digitali. …Creatività è una parola che è stata svuotata di valore tra troppi messaggi pubblicitari bassamente consumer. Tutti dovremmo essere più creativi nell’approccio alla vita, ma la creatività in sé è solo un aspetto: ci serve più pensiero, più valore, più cultura senza steccati. Oggi come oggi, produciamo soprattutto artefatti cognitivi, ovvero oggetti con cui è necessario interagire, che hanno connessioni e anime in Rete, che sono almeno in parte senzienti e che valutiamo come utili e intelligenti soprattutto in base al successo che hanno le nostre interazioni con loro. L’interaction design è una disciplina chiave, ma c’è tanta competenza umanistica dentro che non può essere ridotta al termine creatività.
Siamo la generazione degli smartphone e delle smart cities. Si dice che tutti possono contribuire a progettare per la IoT: è vero?
La Internet degli Oggetti non è una buzzword futura, ma una parola a cui possono fare riferimento tutta una serie di oggetti che troviamo già in vendita. La Rete è già nell’era post-pc ed è frequentata già da centinaia di generi di oggetti diversi: telefonini certamente, ma anche bilance, cornici digitali, macchine per la misurazione della pressione sanguigna, automobili, microproiettori e microstampanti, internet radio, lampada, impianti di sicurezza e giocattoli di vario genere. Tutti possono contribuire? No, ma di certo possono farlo le aziende e i maker.
L’ottava edizione di Frontiers of Interaction è una conferma o una scommessa?
Frontiers è innovazione. Se non scommettesse, smetterebbe di esserlo.